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Alfonso Maria Di Nola

PICCOLI RICORDI DI UN GRANDE MAESTRO: Alfonso Maria Di Nola

La prima volta che sentii parlare di Alfonso M. Di Nola fu probabilmente nell’inverno del 1984. Ero giovane, allora, di anni 23 ed ero studente di lingue presso L’Istituto Universitario Orientale di Napoli.

Ricordo che quando lo ascoltai parlare durante una delle sue celebri lezioni di Storia delle Religioni in una auletta quella volta eccezionalmente non affollata per l’occasione, mi sembrò essere molto presuntuoso. Con tono sicuro di sé derise Socrate, un intoccabile per me in quel periodo, parlandone come se si fosse trattato di un impostore. Non sapevo, allora, che, Di Nola, pur conoscendola profondamente, non amava affatto la filosofia, da lui ritenuta una pura masturbazione mentale spesso lontana da una concreta comprensione della realtà umana. Per essa c’era l’antropologia.
L’ antropologia religiosa era poi ciò che di più lo appassionava poiché - come ebbe a dirmi durante uno dei tanti incontri in trattoria dove, considerata la mia condizione di studentello squattrinato, mi obbligava a seguirlo pagandomi sempre il pranzo - l’indagine antropologica del fatto religioso lo metteva di fronte a tutto ciò che di più drammatico l’uomo potesse vivere quale, per esempio, l’incontro con la morte.

Non ero ancora divenuto amico di Di Nola quando feci il mio primo esame di Storia delle Religioni. Ad esaminarmi non fu lui, del resto, ma uno dei suoi giovanissimi assistenti, che, di li a poco, mi avrebbe in un certo senso presentato a Di Nola. Questo fu l’inizio della nostra breve amicizia.
Con Di Nola feci in seguito altri due esami : Religioni e Filosofie dell’Estremo Oriente e Storia delle Religioni 2. Ma fu solo dopo il secondo esame che cominciai a chiamarlo per nome e non più Professore.
Ho saputo della sua scomparsa avvenuta il 17 febbraio 1997 alla televisione. Ciò che mi ha particolarmente colpito delle cose dette sul suo conto è stata la notizia secondo la quale, seguendo la sua volontà testamentaria, per i suoi funerali egli non abbia voluto nessuna cerimonia di tipo religioso. Grande coerenza da parte di uno dei nostri più grandi storici delle religioni che amava definirsi, come spesso mi diceva, “un ateo religioso”. “Un ateo - diceva Di Nola - è qualcuno che cerca un amico che non trova, ma cerca”. Un uomo che conosceva a fondo le religioni più di qualsiasi massimo teologo del Vaticano e che sapeva fino in fondo cosa significasse essere atei : ricondurre l’uomo all’uomo mettendolo di fronte alle proprie responsabilità e cercare nell’uomo la spiegazione del divino. Di Nola era dunque lontano da qualsiasi concezione trascendentale. Ciò non lo impediva di essere estremamente rispettoso delle religioni e di essere a suo modo “religioso”. Ho avuto modo di osservarlo intensamente durante la festa di San Domenico di Cocullo in Abruzzo mentre parlava con i suoi contadini o mentre, avvertendo il pathos del canto di connubio dal Santo, entrava in uno stato di profonda riflessione interiore per nulla esente da un intimo e quasi drammatico coinvolgimento interiore rispettoso della sofferenza umana esistente nel mondo delle culture subalterne.
Di Nola era per metà di origine ebraica e sua nonna gli aveva insegnato l’ebraico quand’egli era ancora bambino. Il padre, possessore di una biblioteca da sogno “leopardiano”, gli leggeva Voltaire direttamente in francese. Il liceo, Di Nola lo frequentò a Castellammare. Ma non s’era poi mai laureato pur essendo giunto alla fine del corso di laurea in legge. Uno spiacevolissimo episodio accadutogli col futuro Presidente della Repubblica, G. Leone, lo spinse ad abbandonare questi studi. Di Nola mi raccontò che, in sede d’esame, dopo essere stato trattato assai ingiustamente dal prof. Leone, si alzò in piedi dicendogli le testuali parole : “le sputo in faccia e d’ora in poi non metterò più piede in questo posto”.
S’era poi iscritto a medicina e successivamente a lettere senza mai arrivare alla laurea. Pertanto, Di Nola, era giunto ad essere, come scrive Ambrogio Donini nel 1991, il massimo etnologo italiano vivente. Professore di storia delle religioni, incaricato di storia delle tradizioni popolari, supplente di religioni e filosofie dell’estremo oriente, docente di antropologia culturale e di psichiatria transculturale, tutto questo senza essere laureato. Insegnò all’università di Arezzo, All’Istituto Universitario Orientale di Napoli, al II Policlinico di Napoli e alla II Università di Roma. Una volta egli mi disse che, come per Benedetto Croce, era stato insignito di una laurea per Chiarafama.
Gli resi visita nella sua casa romana per due volte. E per ben due volte l’ho seguito a Cocullo a far ricerca sul campo.
Della mia visita a casa sua a Roma serbo un ricordo vivissimo, di quelli che un giovine di 23 anni non può che ritenere eccezionale data la statura e la personalità di Di Nola. La sua abitazione romana era praticamente tappezzata di libri. I libri costituivano la tappezzeria dell’80% delle pareti del suo appartamento. Libri antichi, antichissimi, introvabili, rari, enciclopedie, dizionari d’ogni tipo, libri “spazzatura”, libri in greco, russo, tedesco, francese, spagnolo, ebraico, inglese, latino, almeno quante erano le lingue che meglio maneggiava e il cui numero superava quello delle citate. Per Alfonso, del resto, io ero quello che studiava il macedone, e questa lingua l’incuriosiva molto. Questo fatto dovette incuriosirlo talmente che, anche dopo anni che non lo frequentavo più, durante una telefonata che gli feci in occasione dell’occupazione dell’Orientale nel ’90, io restavo quello che avrebbe potuto fare una tesi in macedone.
Se una persona non è riuscita a dar fastidio in vita, ci riuscirà ancor di meno da morto. Ma se da vivo c’è riuscito, continuerà, forse, a dar fastidio anche da morto.
Alfonso, schierandosi dalla parte dei deboli, degli operai, dei contadini, ha saputo dar fastidio a chiunque abbia favorito lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Testimoniando ciò continuerà a difenderci dalla menzogna.
Delle diecimila colonne che compongono la celebre Enciclopedia delle Religioni edita dalla Vallecchi negli anni ’70, sappiamo che il 90% sono state scritte da Alfonso. Ricordo con quale orgoglio egli ci raccontò dello stupore provato da Eliade nel sapere che uno storico delle religioni italiano avesse quasi da solo redatto un’intera enciclopedia delle religioni, la cui importanza veniva unanimemente accettata, scrivendo una tale quantità di colonne da risultare l’unico al mondo che abbia mai scritto tanto in una enciclopedia delle religioni. Eliade volle conoscere Di Nola. E tra i due nacque anche un periodo di collaborazione da Alfonso interrotto quando venne a conoscenza dell’attività antisemita dello studioso di origine rumena.
Sembra che Alfonso di tanto in tanto soffrisse di malinconia. Il suo proverbiale ateismo, infatti, non gli impediva di pregare nei momenti di profonda tristezza . Credo sia stato Gennaro, il più simpatico del gruppo di Alfonso, a raccontarmi quando, nell’anniversario della morte di un caro avvenuta in un campo di concentramento, lo trovarono, chino a pregare in ebraico, col copricapo tipico degli ebrei, preso da grande dolore. Il ricorso alla preghiera, quale unico mezzo per soccombere alla tristissima sofferenza dell’anima, gli era tanto necessario quanto più se ne allontanava considerato il suo ateismo.
Quando veniva a Napoli per le sue lezioni all’Orientale evitava sempre di restare in albergo. Diceva di aver bisogno di ritrovare a casa qualcuno che lo aspettasse. Aveva bisogno, come naturalmente tutti noi, dei suoi affetti domestici. Sembrava volesse evitare del tutto la possibilità di passare la notte da solo in un posto non familiare e, per giunta, senza un libro amico.
La passione per i libri, nata nell’antica e ricca biblioteca paterna, lo portò a leggere praticamente di tutto. A sedici anni, Alfonso si sentiva poeta. Risalgono a quest’età le poesie che pubblicherà successivamente e che costituiranno il suo primo libro. Tra i suoi poeti preferiti vi erano Rimbaud e Baudelaire.
Ciò che mi portava a volergli naturalmente bene era quella sua maniera di mettersi a nudo.
Durante la mia prima visita romana, tra le tante cose dette, mi parlò anche della sua amicizia con Pasolini. Lo scrittore friulano gli rendeva visita con una certa regolarità. Durante l’ultimo periodo della sua vita, Alfonso mi disse che aveva avuto la sensazione che questi avesse voluto morire. Di quest’uomo mi disse che era una persona di grande pudore e che amava molto mantenersi in forma. C’era fra i due una stima reciproca. Pasolini gli dedicò una recensione memorabile di Antropologia religiosa. Lessi questa recensione che naturalmente Alfonso conservava.
Tutta la conoscenza che Alfonso aveva acquisito gli era così propria, faceva così parte di sé e gli veniva fuori in modo così naturale - era come se fosse stata una sua seconda natura - da darti la sensazione di esser nato già sapiente. E’ questa, forse, la natura del genio.

 

Manlio Tieri Adiletta

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