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Alfonso Maria Di Nola

Il pellegrinaggio al Santuario millenario

 

A nord di Sarno (Sa), in località Foce, accanto alle sorgenti dell’omonimo fiume, sorge il Santuario e convento della Madonna di Foce. Siamo nella diocesi Sarno-Nocera. Dal 1892, dopo alterne vicende, il Santuario appartiene all’Ordine dei Frati Minori. La sovrintendenza è affidata al Guardiano Padre Giacinto d’Angelo. L’indirizzo preciso è : Santuario SS. Maria della Foce, via Foce - 84087 - Sarno (Sa).
Il nome Foce non ha nulla a che vedere con le sorgenti e col fiume. Esso vuole indicare soltanto il passo angusto, stretto tra il monte ed il fiume, che, fortificato con torri e munizioni e chiuso da una porta ben custodita, rendeva ben difficile il passaggio. Del resto tutti i dizionari latini spiegano la parola faux per foce, gola, quindi gola di monte, stretto passaggio ecc..
Dagli antichi romani e fino al Medio Evo la zona fu chiamata anche “foruncolo” cioè piccolo foro, perché vi era una piazza dove, ogni anno si teneva una grande fiera.
In località Foce-Sarno si è rinvenuto casualmente nel 1965 un notevole quantitativo di materiale fittile votivo risalente alla fine del IV secolo a.C. fino al II secolo a.C. relativo ad un luogo di culto, un santuario extraurbano dedicato ad una divinità agreste. Non è ancora chiaro se questi oggetti venuti alla luce provengano da una stipe in situ, o da uno scivolamento a valle di materiale situato a monte.
Nel corso di questo rinvenimento venne messo in luce parte di un piccolo teatro di tipo ellenestico-romano.

L’esame del materiale votivo conservato nel Museo di Sarno è datato dal IV al II secolo a.C. e giustamente ha fatto ritenere che sul posto dovesse esservi un Santuario del quale evidentemente il teatro era un annesso destinato soprattutto alle sacre rappresentazioni. Del Santuario non si è trovato finora alcuna traccia e non se ne conosce il sito esatto. Il suo ricordo è perpetuato dal Santuario di S. Maria a Foce situato poco distante. Il problema della localizzazione del Santuario è se esso possa collocarsi nei pressi di dove è stato rinvenuto il materiale votivo o se esso debba essere ricercato altrove.
La sacralizzazione del paesaggio avviene tramite un intenso rapporto con l’ambiente naturale cosicché l’evento meraviglioso della nascita di un fiume riporta subito, cosa che avveniva solitamente nell’antichità, all’elemento mistico-religioso concretizzato dalla costruzione dell’edificio religioso. E’ così che è possibile leggere la relazione tra il sito della chiesa di santa Maria della Foce e l’origine del fiume Foruncolo o acqua della Foce.

Narra la leggenda che al tempo stesso in cui Narsete, vecchio generale cristiano, nel 553 stava combattendo i Goti sulle contrapposte sponde del Sarno, ad alcune donne che attingevano l’acqua, apparve la Madonna col Bambino sotto l’ottava arcata, ossia al centro delle quindici sorgenti di Foce. Fu dunque tale apparizione, non per caso avvenuta alle sorgenti, unita alla gloriosa vittoria cristiana, a far costruire il primo tempio dedicato alla Regina delle Vittorie e Madonna della Foce : “Mentre la cupa foresta che ammantava di ombre e di mistero l’antico sacello pagano e le vicine sorgenti , fu recisa dai primi cristiani perché ogni maligno spirito della deità pagana, amante dei boschi e delle belve, scomparisse per sempre” (C. Di Domenico, Un santuario Millenario. Santa Maria della Foce in Sarno, Sarno 1971).

Attaccato all’antico tempio vi era poi una grotta, o meglio una galleria (ora scomparsa), che metteva in comunicazione la fortezza della Foce con quella del Castello situato sul monte che si trova alle spalle di Sarno. Era poco distante dalle sorgenti. E vi si ricoveravano gli antichi abitanti del posto, quando terremoti, eruzioni del Vesuvio ed alluvioni rendevano precaria e pericolosa la permanenza nelle abitazioni.

Questo è il tempio che fu trovato in rovine da S. Gugliemo, quando, nel 1134 su invito del conte di Sarno Enrico Di Riccardo e del vescovo Pietro venne da Montevergine a Fondare il Santuario di Foce in onore della Madonna Assunta, santuario che divenne ben presto il più rinomato di tutta la plaga vesuviana diventando meta di pellegrinaggi. Qui, dunque, sulle rovine dell’antichissimo tempio, che era stato sommerso da una alluvione intorno al mille, il Santo costruì la sua nuova chiesa a tre navate irregolari.

Ma la chiesa di S. Guglielmo fa da sostrato all’attuale Santuario di Foce. Essa è situata, infatti, a sinistra della chiesa attuale, con accesso chiuso da un cancello in ferro battuto, subito dopo l’ingresso. Vi è sottoposta per circa 4 metri e vi si accede per una scala di una quindicina di scalini. Nel 1205 vi fu sepolto il prode Gualtieri da Brienne, campione della cavalleria medioevale, appartenente alla famiglia feudale dei Conti di Brienne nella Champagne, in Francia. E’ questa la tomba che rese maggiormente illustre il nostro Santuario, durante i tempi della cavalleria e delle crociate. Tra gli illustri visitatori di questa tomba, secondo molti storici, ci fu anche un pellegrino d’eccezione, S. Francesco d’Assisi che di Gualtieri era stato grande ammiratore, fino al punto di volersi arruolare sotto le sue insegne per difendere i diritti del piccolo Federico II.

Nella Navata di destra, fra gli altri affreschi, c’è un tondo con un angelo con la spada rivolta in giù. E’ senza dubbio l’Arcangelo S. Michele a cui era dedicato il preesistente tempietto dell’epoca longobarda, che diede il nome al monte soprastante.
Officiato dai monaci di Montevergine e, successivamente, dai Canonici della Cattedrale, fu poi affidato alle cure dei Padri Conventuali di S. Francesco (a. 1576), dopo che questi furono allontanati dal convento cittadino.
La popolarità del Santuario trovava conferma nel giorno dell’Assunta, quando il vescovo della diocesi vi veniva a celebrare il pontificale con l’assistenza del Capitolo cattedrale e del clero cittadino, incrementando così la devozione verso la Madonna (vedi “Sancta Visitatio totius Diocesis Sarnen ab episcopio Paulo Fusco facta anno Domini 1581”). Siamo verso la fine del 1500 ed è questo il periodo in cui, con una certa consistenza avvenivano i pellegrinaggi, anche se, essendo di antica fondazione, il Santuario era già stato nei secoli un punto di attrazione fideistica per le popolazioni rurali della zona e della stessa città.

Del Santuario cinquecentesco bisogna però dire alcune cose. Intanto che fu costruito con larghezza di mezzi, che era più grande e più bello di quello attuale, tanto da avere il titolo di “Basilica”. Inoltre che quel santuario aveva il prospetto rivolto al rio foce, ed era in un piano inferiore a quello della chiesa attuale di circa un metro e mezzo. Molto interessante è poi la descrizione del sacello, in cui era venerata la statua della Madonna della Foce, che il Vescovo Mons. Fusco fa nel 1582. Dalla descrizione non si rileva chiaro il sito dove si trovava questo sacello ; ma, secondo lo storico locale Pietro Nocera vissuto nell’ottocento, si pensa che si trovasse in mezzo alla chiesa, come il tempietto che contiene il quadro della Materdomini a Nocera. Infatti, si dice che questa cappella aveva la volta a lamia, poggiata su quattro colonne di marmo, con molti “ex voto” e candele che vi ardevano in continuazione, per la grande affluenza di devoti, da tutta la valle del Sarno e, in modo speciale, dalla plaga vesuviana.

Fra i tanti, vi era poi un altare dedicato alla Madonna del Carmine. La statua che era esposta nella nicchia si trova attualmente nella Cattedrale di Episcopio (altra frazione di Sarno nonché sede episcopale), dove fu portata, nel 1837, in occasione di una luttuosa epidemia, che mietette centinaia di vittime non solo a Sarno, ma in tutto il napoletano. Cessata l’epidemia, la statua rimase in Cattedrale perché, si dice, quando si tentò di riportarla a Foce, giunta in contrada “Tuostolo” divenne così pesante, che si dovette rinunziare ad andare avanti. Così la prodigiose statua rimase per sempre in Episcopio, a consolazione del popolo che, ogni anno, ne celebra la festa il 16 luglio.

Il 19 agosto del 1873, in occasione di un’epidemia di colera, un manifesto del “Prefetto” A. Basile, vietava, invece, categoricamente qualsiasi tipo di festività religiose che potesse creare assembramenti : “Considerando che la presenza del cholera asiatico in diverse provincie del Regno, rende indispensabile il remuovere possibilmente ogni causa, che possa influire a farlo sviluppare nelle altre provincie che ne sono tuttora immuni : DECRETA... Articolo I.... E’ vietata fino a nuova determinazione ogni festività Religiose, della natura di quelle qui sopra indicate ; e sono revocati tutti i permessi per processioni... Articolo 2... Sono del pari vietati i pellegrinaggi a Chiese od a Santuari esistenti nella Provincia :”(Archivio storico del Comune di Sarno, fascicolo sulle feste)

Per i bisogni spirituali della popolazione, nel secolo XVI operava una famiglia monastica composta da 4 religiosi e 2 novizi.
Dopo questa nuova ricostruzione seguita all’alluvione del 1500, la profondità della fede popolare si manifestò nella sua pienezza dopo l’eruzione del 1631 : al rifacimento del tempio si provvide con le offerte del popolo (“cum piis elemosynis”), che lo volle più grande e più bello di quello rovinato (“pulcherrimam... vetustiori forma et splendore studiosus reficiendam studuit”), ma per i tempi tristi e calamitosi le offerte, modeste e impari ai bisogni della ricostruzione, si dimostrarono alquanto insufficienti, sicché i fedeli, costantemente fiduciosi nei miracoli della Vergine (“miraculis pulcherrimam”), dovettero attendere alcuni decenni e con loro grave disagio trovarono sfogo alla loro pietà religiosa in uno dei templi più vicini. Dal 1720 la nuova chiesa fu riaperta alla carità dei fedeli.

Ma, secondo più recenti ricerche effettuate dal Prof. Salvatore D’angelo, studioso di cose sarnesi e memoria storica della città, noto per il rigore scientifico del metodo, la storia del Santuario di Foce va completamente riscritta (anticipandoci così il frutto di ricerche che non sono ancora state pubblicate).

Innanzitutto la leggenda della mitica apparizione della Madonna a Foce sarebbe nata successivamente alla fondazione di questo Santuario dedicato ad un culto mariano di memoria millenaria. Culto ritenuto il più antico della Valle del Sarno, e, che solo a partire dall’ottocento è stato soppiantato da quello per la Madonna di Pompei. Precedente allo stesso culto della Madonna dei Bagni di Scafati, sarebbe nato contemporaneamente a quello di Materdomini col quale, del resto, ha sempre conservato un certo legame.

Una lettura sbagliata di documenti presenti negli archivi storici (imputabile a qualche storico locale vissuto verso la fine dell’ottocento), avrebbe poi indicato in San Guglielmo il fondatore del nostro Santuario. In realtà, dice il Prof. D’Angelo, l’intercessione del Santo c’è stata, ma per un’altra chiesa di Sarno, quella di San Giovanni.

Non ci sarebbe poi stata nessuna inumazione di Gualtieri di Brienne, benché è certo che il cavaliere sia stato ucciso a Sarno. Né ci sarebbe stata nessuna visita di San Francesco al prode francese (Salvatore D’Angelo, Il francescanesimo a Sarno, 1983, Sarno). Gli affreschi ritenuti trecenteschi sarebbero invece del 500, mentre la statua della Madonna è forse di molto successiva al 500. Infine, non si hanno notizie certe e chiare riguardo all’ubicazione del sacello della Madonna all’interno della chiesa del 500.
Sta di fatto, che comunque il Santuario è stato ricostruito più volte nel corso dei secoli.

Ora, la nuova chiesa, dal 1959 elevata a parrocchia, è ad una sola navata ampia e decorata con gusto e sobrietà. L’occhio è attratto immediatamente verso l’altare maggiore, su cui si erge il maestoso trono di marmo che racchiude l’antica statua in legno della Madonna incoronata, col Bambino tra le braccia (sec. XVI). Intorno alle pareti, ci sono sei Cappelle, con altrettanti altari tutti di marmo : quattro a destra e due a sinistra. La prima Cappella è quella di S. Guglielmo. Ivi è posta la Statua del santo fondatore del celebre Santuario di Montevergine. Il secondo altare è dedicato alla Madonna delle Grazie, detta Giuliana. In questa Cappella, che è la più interessante per il suo valore storico, leggiamo una lapide che parla ai secoli dell’antichità del diritto e le glorie dell’illustre famiglia Abignente, che con il suo Mariano, uno dei tredici della disfida di Barletta, tanto onore ha dato alla città. Porta la data del 1720. Segue la Cappella, attualmente dedicata al Sacro Cuore di Gesù.

Infine c’è l’altare di S. Antonio di Padova. Anche qui leggiamo una lapide a destra in latino che canta la gratitudine di Beniamino Pastore al santo per la recuperata guarigione della figlia e per il felice ritorno dalla guerra di altri due figli. Onde a sue spese rifece la cappella nell’anno 1923.

Passiamo ora al pellegrinaggio vero e proprio facendo prima un accenno alla grande Fiera di mezzagosto, che da tempo immemorabile, si teneva a Foce, per dieci giorni, in preparazione alla festa dell’Assunta. Lo storico Pietro Nocera ci fa sapere che era frequentatissima e vi accorreva gran quantità di gente, dei paesi vicini del nolano e della zona vesuviana. Era così importante che, durante quei giorni, la giustizia era amministrata non già dal governatore della città, ma dal maestro della Fiera, che il conte doveva eleggere ogni anno, alternativamente, tra i nobili ed i popolani. Esso veniva nominato su proposta della categoria cui apparteneva, il giorno prima dell’inizio della Fiera. Appena nominato, veniva accompagnato, con nobile corteo e banda musicale, dalla casa al campo della foce, dove gli veniva solennemente conferito il possesso dell’alta carica. Quindi, sotto un padiglione, tutto ornato con festoni e piante sempreverdi, cominciava a rendere sommariamente giustizia, per qualsiasi specie di controversia, che poteva sorgere tra gli intervenuti alla Fiera “per la cause sia civili che criminali e miste, con tutte quelle prerogative, onori, lucri, gaggi, ed emolumenti a detta carica spettanti e pertinenti”. Così dice un diploma di Don Michele De’ Medici di toscana, Principe di Ottaiano e Conte di Sarno ecc..in data : Napoli, 31 luglio 1802, col quale si nomina Mastromercato della Fiera il signor don Francesco Crescenzo, di detta nostra città di Sarno e si ordina “alli Magistrati, Sindaco ed eletti di detta nostra Città ed a chiunque altro spetta di riconoscervi, trattarvi e stimarvi per tale Mastromercato” (citato da C. Di Domenico in op. cit. Sarno 1971).

L’Ordinanza del Prefetto Cammarota emessa in data : 20 agosto 1876 “...Considerato che la pratica di processioni religiose su le pubbliche strade spesso può addivenir causa di attriti...” (Archivio storico del Comune di Sarno, fascicolo sulle feste), affissa per le strade cittadine, aveva poi lo scopo di sollecitare i partecipanti delle processioni religiose al rispetto di tutte le autorizzazione necessarie per il mantenimento dell’ordine pubblico.

Questa grande ed importantissima Fiera si tenne a Foce fino al 1836, quando le autorità cittadine la vollero portare in città. Qui, andò man mano perdendo importanza, finchè il mercato settimanale del giovedì, la fece morire del tutto.

L’altra usanza antichissima, che il Fischetti, studioso locale dell’inizio del secolo, fa risalire, all’epoca della fondazione della chiesa, ed ora pure decaduta, era la pratica religiosa di andare di notte a Foce, da Episcopio e da Sarno per tutto un mese, cioè dal 16 luglio al 15 agosto, cantando inni mariani. Il 14 luglio del 1872, il Can. Giuseppe Amodio “Comunica al Sindaco che la devozione preparatoria dei devoti ai festeggiamenti dell’Assunta ‘cominciano’ il 16 luglio.” (Archivio storico del Comune di Sarno, fascicolo sulle feste).

Fino ad alcuni decenni fa, da Episcopio, c’era ancora un gruppo di fedeli che vi si recava per la novena, partendo da casa, prima dell’alba e questo, logicamente, per nove mattine consecutivamente fino alla notte tra il 14 e il 15 Agosto. A Foce sentivano la messa ed uscivano dalla chiesa in tempo per andare a lavorare nelle fabbriche e nei campi. Tra i devoti, nota era la storia di Alessandro Lorio di Episcopio. Questi, negli anni ’30 si era trovava in Africa dove viveva il fratello, allorché fu assalito al collo da un serpente. Svenendo chiese aiuto alla Madonna di Foce che lo fece rinvenire liberato dalla morsa del rettile. Per grazia ricevuta, don Alessandro divenne un grande devoto di questa Madonna, ogn’anno partecipando con le sorelle alla novena e facendo voto di calzare sandali, alla maniera francescana, per tutta la vita.

Ma, ora anche l’usanza della novena è tramontata. Dura ancora l’uso di andarvi nella notte fra il 14 e il 15. Da Sarno, spesso a piedi e facendo varie soste durante il cammino ballando e suonando tarantelle, ma anche dai paesi vesuviani come San Giuseppe, San Gennaro, Ottaviano, Somma Vesuviana, in cui sono disseminate varie Edicole votive dedicate alla Madonna di Foce, e, ancora, da Poggiomarino, Striano, Palma Campania, i pellegrini si recano al Santuario nella notte tra il 14 e il 15 agosto. Per il passato, questi cortei erano costituiti, oltre che da persone a piedi, per lo più da carri. Oggi, invece, essi sono sostituiti da mezzi di locomozione più moderni (automobili). I cortei si dirigono verso il Santuario per poi riunirsi nella piazza antistante alla chiesa e, quindi, partecipare alla funzione religiosa. Le donne, per lo più popolane, giungono in gran numero. Dalla sera del 14 fino al mattino del 15 agosto vengono celebrate messe a ogni ora. L’affluenza delle genti dei paesi vicini è al culmine : il Santuario è gremito e moltissime persone sostano nel piazzale antistante al Tempio. In tale piazzale giungono gruppi spontanei di musici, soprattutto tammorrai, e di danzatori e danzatrici che animano, con i loro canti e balli, la festa. I vari gruppi si dispongono in circolo e dilettano i fedeli che, a loro volta, partecipano con grosso entusiasmo a tali “performances”. Si tratta, per lo più, di canti e balli popolari.

Tradizionalmente, durante tale veglia, i piatti tipici sono i meloni (il cosiddetto “mellone ‘e fuoco”) e soprattutto fichi, non a caso a Striano chiamati “fichi della Madonna”, di cui si vendono cestini interi ad un prezzo impopolare. Contribuiscono ad allietare il clima festivo l’illuminazione a giorno, mediante numerose luminarie, delle strade di Foce e le bancarelle, sulle quali si può trovare di tutto : “murzietti”, torrone, nocciole, ecc... Ma, sono i fichi a costituire il piatto speciale di questa festa. Essi sono molto apprezzati dai pellegrini che vengono dai paesi vicini. Ciò è dovuto sia al fatto che agosto e l’estate in genere è la stagione più consona alla maturazione di tale frutto, presente in gran quantità sulle sponde del fiume, sia alla tradizione popolare.
In passato il pellegrinaggio diventava spesso motivo d’incontro e di conoscenza delle famiglie di giovani fidanzati, favorendo in questo modo i matrimoni.

Le offerte fatte alla Madonna sono sempre in danaro. L’esigenza fondamentale dei pellegrini, quella che è stata il motivo del viaggio e delle offerte, come della preghiera e delle invocazioni, è la rassicurazione. “Condizionati come sono da un’esistenza particolarmente misera, esposta a rischi di ogni genere (anche i nostri pellegrini sono per lo più contadini), il bisogno di rassicurazione è in loro acuito ed esasperato. In questa esigenza risiede la funzione essenziale del pellegrinaggio e da essa sono determinati tutti quei meccanismi di scambio per cui, da un lato, i pellegrini offrono beni economici e, dall’altro, il clero concede rassicurazione generica e oggetti aventi la funzione di renderla più concreta e di protrarla nel tempo, nella vita quotidiana alla quale i pellegrini torneranno dopo la parentesi eccezionale del pellegrinaggio” (Annabella Rossi, Le feste dei poveri, Editori Laterza, 1969). Nel nostro caso, infatti, grazie alle offerte dei numerosi pellegrini e devoti della parrocchia è stato recentemente possibile ristrutturare l’antico convento adiacente al Santuario nonché la stessa facciata della chiesa.
Infine, molti dei pellegrini, dopo aver assistito alla messa, si recano a Materdomini di Nocera, dove dopo aver ascoltato un’altra messa, si danno anche lì un po’ alla pazza gioia con canti e suoni, tarantelle e suoni di nacchere e tamburelli sullo spiazzo del Santuario, finché stanchi cercano un posticino per riposare.

In passato i pellegrini che nella stessa notte si recavano anche a Materdomini, riprendevano il nuovo viaggio a piedi, percorrendo l’antica strada romana che collegava Roma con la Calabria e che taglia il centro storico di Sarno, e pernottando in cantine per rifocillarsi. Fino a non molti anni fa, ci racconta il Prof. Salvatore D’Angelo, questi pellegrini solevano fermarsi nella nota cantina di “Puglino” situata in via Mazzini ed ora scomparsa, dove, dopo aver bevuto vino in gran quantità, riprendevano la fatica del pellegrinaggio con maggiore leggerezza e con animo certamente più “mistico”.

La processione della Madonna di Foce, per la quale non si fa alcuna “riffa”, avviene però la domenica successiva alla festa dell’Assunta. Una copia in cartapesta della statua lignea del 500 viene portata in giro per le strade della parrocchia e, guarda caso, nelle diverse direzione da cui provengono i pellegrinaggi della settimana precedente: via Foce, Via Striano Vecchia, Via Palma. E’ certo, però, che almeno nell’ottocento la processione avveniva nel giorno dell’Assunta. Secondo una sgrammaticata lettera protocollata n. 1093, Addì, 9 agosto 1871 (Archivio cit, in fascicolo cit.), scritta da un devoto al Sindaco, appare chiaro cosa avvenisse in quella notte e nel giorno successivo :”Orazio Grassi volendo sollennizzare la processione della Madonna della Foce giusta il solito di quel luogo, a progettato far venire per maggiore onore alla Vergine, una Banda nelle ore pomeridiane del giorno 14 corrente, la quale comincerà il suo compito nel solo Quartiere d’Episcopio, e di là se ne calerà alla Foce ove si trattiene fino al mezzogiorno del giorno 15...... Domanda pure lo sparo dei mortaretti nel corso della processioni.. Orazio Grassi, Sarno, 2 agosto 1871.”

Nei secoli passati questo tipo di pellegrinaggio notturno non era ben visto dal clero. Infatti sia il vescovo Lunadoro, che Mons. Paolo Fusco, vescovo prima di Ravello e poi di Sarno (1578-1583), ritennero di dover denunciare questo fenomeno del pellegrinaggio notturno abbastanza diffuso, quanto meno in area salernitana. Infatti, il vescovo di Nocera Simone Lunadoro (1602-1610), stigmatizzava il costume ( o malcostume) presente in diverse diocesi di praticare la “veglia” notturna durante la vigilia della festa dell’Assunta in chiese o santuari : “(...) sed quod peius est in ecclesia Matris Domini nuncupata monacurom sub regula Montis Virginis, non tamen eius abbati generali subiectorum, sed eorum abbati commendatario praesbiteroseculari civitatis Nuceriae. In festo Assumptionis Beatae Virginis in nocte vigiliae eius festi, portas illius ecclesiae non claudi, sed per totam noctem vigilias in ea fieri promiscue mares et foeminae commorando, potum et cibum sumendo, dormiendo, et forsan alia faciendo, occasione inde sumpta, quod monaci in media nocte missam solemnem canunt, nec scitur quo privilegio suffulti ; (...)” E Mons. Paolo Fusco : “Insuper statuendum est, ne lecti in ecclesia sternantur, dormitiones prohibeantur, et exinde vigiliae, quas multi solebant facere non oncedantur...” (Citati da Pietro Caiazza in Aspetti della vita religiosa nelle diocesi di Sarno e di Nocera de’ Pagani in età moderna, Ediz. In Cammino, Sarno 1996, pagg. 70).

Ma, la tradizione popolare in questo caso è stata dura a morire. L’usanza notturna s’è protratta fino a noi lungo un continuum che non ha conosciuto interruzioni. Il pellegrinaggio a Foce resta nell’immagianario collettivo anche durante tutto l’anno. Al sarnese viene spesso voglia di fare una passeggiata a Foce durante le giornate soleggiate percorrendo, a sua insaputa, percorsi mitici che si perdono nei secoli. Agli innamorati viene voglia di appartarsi alle spalle del Santuario per sentirsi più “sicuri”.

Resta un luogo di forte attrazione anche nel lunedì “in Albis”, giorno che ha come caratteristica il viaggio, l’”abbandono” del paese con produzione di nuove rappresentazioni. “Le forme ricorrenti sono tre : il pellegrinaggio dell’intero paese, il pellegrinaggio come viaggio individuale o di piccoli gruppi familiari o di vicinato, il pellegrinaggio come ritualizzazione di rapporti e contrasti tra comunità e paesi diversi... I tre tipi si trovano spesso fusi nella stessa cerimonia. Ciò che li accomuna sono il viaggio e il raggiungimento di un luogo sacro esterno al paese... v’è un fondamento comune e cioè, rispetto al periodo pasquale, la perdita della centralità del paese” ( Paolo Apolito, Il tramonto del totem, FrancoAngeli, Milano, 1993, pagg. 123). Abbandono della centralità del paese, in questo caso, e, resistenza nei riguardi del potere egemonizzante della chiesa condannatrice dell’uso “pagano” della “promiscua” allegra veglia notturna dell’Assunta, come fisiologici bisogni delle culture subalterne di sottrarsi periodicamente al controllo opprimente del potere costituito : “..le nuove strutture economiche, gestite come sono dal solo profitto capitalistico, non offrono all’uomo, deculturato dalle sue radici storiche ed ambientali e immerso nel ritmo di sviluppi produttivi disumanizzanti e livellanti, la possibilità di autoidentificarsi in una cultura adatta alle propri dimensioni. La permanenza di questi usi tradizionali, ... come la sopravvivenza passivamente recepita di un mondo disgregato, ...esprime anche, ...il tentativo subalterno di sottrarsi alla morte culturale.” ( Alfonso Maria Di Nola, Un modello di religione delle classi subalterne : il culto abruzzese di S. Domenico Abbate, Roma, 1974).

 

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

Vittorio Cimmelli : Sarno nell’età moderna, Sarno,1991

Can. Carmine Di Domenico : Un Santuario Millenario, S. Maria della Foce in Sarno, Grafica Sarnese Editrice, Sarno, 1971

Can. Carmine Di Domenico : La Madonna delle tre corone in Sarno, Grafiche Dolgetta - Sarno - 1969

Pietro Caiazza : Aspetti della vita religiosa nelle diocesi di Sarno e di Nocera de’ Pagani in età moderna, Ed. In Cammino, Sarno, 1996

Guida al territorio del Sarno, tracce storiche, archeologiche e mitiche. Comune di Sarno, Museo archeologico Valle del Sarno, Ercolano,1994

Ancestrali radici, a cura di Franco Salerno, ed. I libri di Polimedia, Angri, 1989

Salvatore D’Angelo : Il Francescanesimo a Sarno, La Grafica Sarnese, Sarno, 1983

La vita semplice, Assessorato alla pubblica istruzione, biblioteca comunale di Sarno, La Grafica Sarnese, Sarno, 1987

Sarno, guida alla città, Assessorato politiche sociali del Comune di Sarno, 1996

Quattro passi a Sarno, ed. Pro-Loco, Sarno, 1974

Ruocco Silvio, Storia di Sarno e dintorni, Sarno, 1945

Fasci dell’Archivio storico del Comune di Sarno (relativi al culto e alle feste religiose nella seconda metà dell’ottocento)

C. Fischetti, Appunti sulla città di Sarno, Sarno, 1995

Annabella Rossi, Le feste dei poveri, Editori Laterza, Bari, 1969

Alfonso Maria Di Nola, Un modello di religione delle classi subalterne : il culto abruzzese di S. Domenico Abbate, Roma, 1974

Paolo Apolito, Il tramonto del totem, ed. FrancoAngeli, Milano, 1993

Sono state effettuate ricerche nell’Archivio Storico e nella biblioteca del Comune di Sarno, nonché numerose interviste anche sul campo.

Il pellegrinaggio al Santuario millenario
Superstizioni
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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