Indietro  
L'ospite
Occhi
Memoria
Vicoli
Non ora
Ubi Loci
Disertore

L'ospite

 

Francesca sta male. Mai avevo visto il suo volto tanto pallido. Gli occhi lucidi.
Brevi nervosi sorrisi. La voce un sussurro, per non essere ascoltata da altri oltre me.
A telefono mi aveva chiesto se volevo che ci incontrassimo in qualche locale affollato. Aveva fretta, poteva rimanere al massimo per dieci minuti. Quella mattina sarebbe andata a lavoro più tardi perché aveva bisogno di parlare con me. Ero l'unica persona di cui ancora si fidava. Sperava che le avrei creduto. L' ha ripetuto due o tre volte prima di riagganciare.
Ci siamo incontrati al Grog verso le nove. Quando sono arrivato era già seduta a un tavolino. Sorseggiava un tè.
L' ho guardata in viso senza saperle dimostrare quanto, da tempo, desideravo rivederla. 
Mentre la osservavo, sedendomi di fronte a lei, non sono riuscito, o forse non ho voluto nasconderle la mia preoccupazione. E' stata comunque lei per prima a parlare.
Mi ha chiesto se la stimavo, se la consideravo una persona ragionevole, nonostante le nostre incomprensioni. Per lei aveva molta importanza che almeno mi sforzassi di crederle. Non avrei dovuto avere dubbi della sua sincerità, come ne avevo mai avuto. 
Per quanto grave e difficile fosse il male a cui era stretta, conservava la sua fiera forza.
Le ho promesso la mia più completa disponibilità. L'avrei ascoltata, se ne fossi stato capace le avrei dato qualche consiglio, se mai poteva esistere consiglio, e soprattutto non avrei fatto nulla senza prima chiederne a lei consenso. 
Mi ha ringraziato. Sembrava aver riacquistato la calma necessaria, a suo dire, per cercare di essere quanto più chiara possibile. Voleva che le credessi.
Una mattina, tre settimane addietro, stava uscendo di casa per andare a lavoro. Ha aperto la porta e ha varcato la soglia. Mentre cercava le chiavi nella borsa, per chiudere la porta lasciata ancora socchiusa, una figura alle sue spalle l' ha sfiorata ed è entrata in casa. Francesca è rimasta, stupita, immobile, la mano nella borsa. La sorpresa le ha impedito di avere timore. E' rientrata in casa, lasciando la porta ancora socchiusa. La vedeva camminare lenta lungo il corridoio. Era una donna. Completamente nuda.
Ripresasi dallo stupore Francesca le ha chiesto con garbo se aveva bisogno di qualcosa. Pensava che forse aveva avuto un incidente, che le era accaduto comunque qualcosa di spiacevole. 
La donna non le ha risposto. E' entrata in bagno. 
Lo scroscio della doccia ha rotto il breve silenzio.
Intanto una cameriera si era avvicinata al nostro tavolo. Ho notato una leggera somiglianza con Francesca che, vedendo la cameriera, ha urlato. Poi l' ha osservata e le ha chiesto scusa. 
Abbiamo ordinato. Quando siamo rimasti soli mi ha confessato di aver avuto per un attimo la sensazione che la cameriera le somigliasse.
Le ho detto che secondo me le somigliava. Non abbastanza, ha precisato. Aveva gli occhi grigi e piccoli, non aveva il néo sul mento ed era sicuramente più bassa di lei. 
Le ho chiesto perché temeva di somigliare alla cameriera. Forse non era timore il suo, mi ha spiegato, ma solo smarrimento. Era confusa e incredula di lei stessa. Ha ripreso il racconto.
Mentre la donna era in bagno, a fare la doccia, Francesca ha guardato per un pò il telefono. Non ha trovato un motivo ragionevole per usarlo. A chi telefonare? Alla polizia? Agli ospedali della zona? Per dire cosa? -" Scusate, s'è intrufolata in casa mia una donna nuda che non conosco... ora sta facendo la doccia..., forse ha avuto un incidente..., è una squilibrata..., soffre di crisi d'identità, ha perso la memoria, non sa chi sia..."
Lo scroscio della doccia tace. Francesca entra in bagno mentre la donna esce dalla cabina, fra i vapori d'acqua calda, e allora può guardare il suo viso. La somiglianza al suo appare subito evidente. Sembra lei stessa riflessa in uno specchio opaco. La donna si asciuga con vellutata lentezza e guarda Francesca incapace di definire l'espressione di quel volto così uguale al suo. Tutto il resto del corpo pareva essere la perfetta copia di sè. 
Per quanto fosse simile nelle forme, Francesca notava che l'espressione del viso non era però la sua espressione. Quel viso identico al suo nei lineamenti era così diverso perché non aveva espressione. D'una somiglianza perfetta, ma estremamente composto. Algido. Inquietante.
Francesca è andata in camera e ha preso dall'armadio un abito per la sconosciuta ospite. 
Superato l'imbarazzo avrebbe riacquistato lucidità.
La donna era uscita dal bagno ed è entrata nella camera. Francesca l' ha vista nello specchio. Ha nascosto come meglio poteva il disagio, tradito però dal balbettìo. Le ha chiesto come si chiamava, se ricordava dove abitava, cosa le era accaduto. Aspettava che la donna le rispondesse. Le sarebbe stato comunque difficile capire se anche la voce dell'ospite era la sua. La voce che conosci è la voce di dentro. Quella è la voce di te che riconosci tua, mi ha detto Francesca.
Ma la donna non le ha risposto. Forse le ha risposto nel modo in cui sapeva allora rispondere. Già, perchè la donna non ha parlato. I suoni che ha emesso, senza aprire la bocca né muovere le labbra, non erano articolazioni di sillabe, ma una sorta di mugolii di diverse intensità. In seguito Francesca ha appreso che con quei suoni, come lamenti sommessi di note lunghe o gravi, la sconosciuta voleva informarla che non era ancora in grado di comprendere la lingua che Francesca parlava, ma che in breve avrebbe imparato e la avrebbe anche informata riguardo questioni che in parte potevano coinvolgerla di persona, da quel momento in poi. Dal momento che era entrata in casa sua e dal momento che non se ne sarebbe più andata, fino alla fine dei giorni di Francesca.
Le ho chiesto se a questo punto non fosse il caso di far intervenire la forza pubblica, magari supportata da specialisti di malattie mentali, per salvaguardare il suo diritto di non dover subire alcun ricatto di alcuna natura.
Mi ha spiegato che aveva capito, aveva iniziato a capire quali fossero le intenzioni dell'ospite, solo poco più tardi. Inoltre dovevo sapere che già prima di essere consapevole di essere coinvolta in un'azione criminale, aveva preso iniziativa in tal senso. 
Quella stessa mattina Francesca ha lasciato l'ospite a guardare il televisore ed è andata dall' avvocato Grifo. Un paio di telefonate sono bastate all'avvocato perchè si mobilitasse l'ispettore in persona, coadiuvato da tre agenti, per un sopralluogo in casa di Francesca, per interrogare la sconosciuta ospite, forse una demente, muta per giunta.
Ma una volta setacciato ogni angolo della casa per ben cinque volte, e non avendo trovato alcuna traccia di alcuno, perfino l'abito che Francesca aveva dato alla sconosciuta era riposto nell'armadio come se non fosse stato toccato che giorni prima, allora il commissario, sbuffando senza falso pudore, ha fatto notare a Francesca che non c'era nessun'altro in casa, oltre loro cinque. Francesca aveva allora telefonato all'avvocato Grifo, prima che il commissario e i tre agenti andassero via. L'avvocato aveva voluto parlare col commissario. Altre telefonate del commissario e dopo poco erano arrivati gli agenti della scientifica. Hanno finito il mattino seguente. In casa c'erano solo impronte di Francesca, e qualcuna di Teresa, la donna delle pulizie.
Francesca mi ha guardato fisso negli occhi, interrogandosi se scorgeva in me il pur minimo segnale di compatimento, se potevo pensare che fosse una mitomane. Mi ha assicurato di aver ben chiaro il controllo della sua realtà, eppure appena ha chiuso la porta, dopo aver accompagnato all'uscita i poliziotti, non appena ha girato il chiavistello, ha sentito il televisore accendersi. La voce del meteomattino annunciava violenti piogge per tutta la giornata.
L'ospite era seduta sulla poltrona, sfogliava vari libri contemporaneamente e di tanto in tanto ripeteva una parola scandendone i suoni, come in un esercizio vocale.
Francesca ha cominciato a gridare che doveva andarsene, che non capiva perché sembrava nascondersi, che voleva delle spiegazioni.
L'ospite ha smesso per un attimo di consultare i libri e l' ha fissata, con la solita inespressività. 
Francesca ha strozzato l'urlo fino a un rantolo di pianto, è andata di corsa nella camera da letto, ha chiuso a chiave la porta e ha deciso che doveva dormire. Quando si sarebbe svegliata avrebbe cercato una soluzione.
Si è svegliata di soprassalto appena due ore dopo. L'ospite era seduta sull'orlo del letto e le porgeva dei fogli. Francesca gliel' ha strappati di mano e si è seduta nel centro del letto. Voleva sfuggire al pur lieve contatto con quell'essere. 
Francesca ha voluto che leggessi anch'io le pagine che l'ospite aveva scritto. Mi ha consegnato una cartellina.
Ha spiegato che oltre alle pagine scritte dall'ospite c'erano pagine che lei aveva scritto qualche giorno prima, per raccontarmi quanto temeva non avesse potuto a voce, perché aveva poco tempo. Ha detto che doveva ritornare a casa. Non mi ha dato tempo di dire nulla. Appena ne avrebbe avuto la possibilità mi avrebbe fatto sapere sue notizie. Non voleva che le telefonassi, né che andassi a casa.
Ero indeciso se leggere prima le pagine di Francesca o quelle della presunta sconosciuta ospite. La sua grafia era di una linearità impressionante, caratteri in corsivo minuscolo in un ordine talmente preciso da sembrare stampato. 
Ho deciso di rimandare al seguito la lettura di quelle sistematiche righe. 
La scrittura di Francesca mi era familiare, ma di lei, prima d'allora, mai avevo letto angoscia.
Il tono di quelle pagine era a tratti catturato da un delirio che s'impadroniva dei suoi pensieri, tracciando segni che tentavano di illuminare quelle immagini di limbica apocalisse.
Ho iniziato a dubitare seriamente dell'equilibrio di Francesca sul punto in cui sfogava, impotente, la sua incredulità nei confronti dell'ospite che, sebbene si proclamasse animata da pura sincerità, non le spiegava quale fosse la sua origine, né diceva chi aveva interesse al progetto di cui lei stessa l'aveva informata, in quella sintetica relazione, scritta con una grafia così perfetta da sembrare opera di una mano dotata di iperumana sensibilità.
Da tre settimane, scriveva Francesca, viveva in casa sua una donna. La somiglianza a lei era assoluta. Aveva trascorso i giorni interi e tutte le notti della prima settimana fra il televisore, il computer e le centinaia di libri nella biblioteca. Il giorno stesso del suo arrivo, poiché non era ancora a conoscenza della nostra lingua, ha voluto che Francesca leggesse delle pagine, affinché fosse informata di cosa stava accadendo. E Francesca, a proposito di quelle pagine, scriveva "Nuova Colonia, tempio del secolo della rinascenza ", "popolazione Nuova Colonia 191.919 *§° (circa un miliardo di nuovi coloni) fra settanta anni umani", " è una dei primi arrivati, altri stanno arrivando", "impara la nostra lingua, studia la nostra vita", "collaborazione in rete appena saranno*§°", "in un lustro ci saranno tutti", "già iniziata preparazione Progetto", "non violenza diretta", "sterilizzazione", "ecosistema reintegrato", "il suo nome è Francesca".
In quelle pagine raccontava anche dell'avvocato Grifo e dell'intervento della polizia. Per tutti era una visionaria.
La relazione dell'ospite poteva essere stata scritta da Francesca. Il perfetto corsivo della grafia poteva essere opera di chiunque.
In una forma impersonale, con un elementare ma chiaro uso del linguaggio, era descritto una sorta di percorso programmatico che interessava "Nuova Colonia". Nella relazione si delineava una fantastica teoria. Una specie intelligente (di dove fosse originaria non era precisato) nell'arco di cinque anni si sarebbe insediata fra noi. Ogni nuovo individuo avrebbe avuto le sembianze identiche di un uomo o di una donna, da loro ognuno avrebbe avuto
accoglienza e, superato il lecito smarrimento iniziale, ognuno al proprio ospite avrebbe potuto, se voluto, offrire la propria collaborazione al disegno che sarebbe stato attuato e portato a compimento nell'arco di un secolo. 
Ognuno dei nuovi arrivati avrebbe imparato la nostra realtà e gli strumenti di indagine.
Dopo il tempo necessario alla formazione, avrebbero agito occulti.
Il primo passo sarebbe stato favorire la progressiva e totale estinzione dell'essere originario di Nuova Colonia. Sarebbe avvenuto nell'arco di circa ottanta - novanta anni. Senza alcun uso di violenza attiva. Sarebbero state sufficienti le morti causate dall'uomo, guerre, epidemie, carestie, e un intervento nella catena alimentare dell'intera popolazione umana che ne provocasse una totale e irreversibile sterilità.
A partire dal quinto anno da quel momento, non sarebbero nati più umani su Nuova Colonia. 
Alla fine del secolo l'estinzione umana sarebbe stata totale e i neocoloni, circa un miliardo di individui, avrebbero dato inizio alla prosecuzione del Progetto Colonia, che dell'uomo avrebbe conservato solo alcune opere d'arte e la poesia.
Era chiaro che Francesca aveva bisogno di aiuto. Era caduta in uno stato di paranoia, soffriva di allucinazioni e alterazioni della personalità. Le avevo promesso di non telefonarle. Ma ero preoccupato. L'atmosfera del Grog era irrespirabile. Mi sono alzato e solo allora la confusione del vociare mi ha sommerso. Sono uscito in cerca di un telefono.
La voce di Francesca aveva un timbro piatto, difficile credere che stessi parlando con la stessa persona di poco prima. Mi ha rimproverato di non aver rispettato quanto mi aveva espressamente chiesto. Avevo trasgredito e non meritavo più la sua fiducia. Le ho chiesto perchè voleva nascondermi il suo stato, ora che sapevo. Ha detto che non dovevo preoccuparmi. Ha pronunciato le parole con misurata calma. Ha spiegato che stava preparandosi per un nuovo dramma. Impersonava una visionaria evocatrice di una nuova èra. Si scusava ma doveva lasciarmi. Mi ha chiesto di non telefonare più, mi avrebbe perdonato e si sarebbe fatta sentire. 

Il mattino seguente è venuta a casa. Era poco più tardi dell'alba. Appena è entrata ha cominciato a piangere e tremare. Era terrorizzata. L' ho abbracciata, poi l' ho invitata a sedere dove voleva. 
Ha smesso di piangere. Per qualche minuto è rimasta rigida in silenzio, sforzandosi di regolare il respiro. 
Si è seduta. Con gli occhi fissi al pavimento mi ha detto che la mattina del giorno prima, quando le avevo telefonato poco dopo esserci lasciati, non avevo parlato con lei. Non era ancora tornata a casa quando avevo telefonato. L'ospite la aveva informata che io avevo telefonato e che lei aveva risolto ogni incomprensione. Occorreva solo aspettare poche ore. Tutto si sarebbe risolto. Era inutile che Francesca tentasse di opporsi a quanto era ormai stato stabilito. La assicurava che non le avrebbe fatto del male. Riteneva pertanto giusto che anche lei non ne ricevesse. Ogni tentativo sarebbe stato un insuccesso. Non c'era modo di fermare il Progetto. Francesca le ha chiesto ancora chi fosse in realtà, chi le dava il diritto di turbare la sua vita e perché. 
L'ospite le aveva confessato di non poterle dire altro perchè ancora non possedeva gli strumenti di conoscenza necessari a spiegarle chi in realtà ella fosse e quali erano i princìpi grazie ai quali il Progetto era necessario e ormai imminente.
Francesca sapeva che l'ospite conosceva ogni suo pensiero.
Anche in quel momento, mentre con voce sottile tentava di persuadermi che non era malata, l'ospite, nella sua casa, era spettatrice assente. Poteva vedere me cogli occhi di Francesca, sapere ogni cosa di lei.
Da giorni aveva iniziato a pensare che l'ospite potesse vederla ovunque, che la spiasse grazie alla su stessa mente, ai pensieri, agli occhi. Glielo aveva chiesto, ma non aveva avuto risposta. L'idea che fosse vero le ha dato la determinazione che ha usato per cercare di mettere fine a quell'incubo. L'ospite le ha detto che era inutile. Allora Francesca ha avuto la conferma alle sue supposizioni. 
Ha aspettato che facesse buio. 
L' ha strangolata con la cintura dell'accappatoio cobalto. 
Era seduta davanti al computer. 
S'è accasciata sul pavimento. E Francesca ha creduto che fosse morta. Il cuore non le batteva.
Ha caricato il cadavere in auto. E' arrivata fin sulla Rocca del Dàimon. Ha buttato giù l'ospite. Un volo di sessanta metri.
Ma quando è tornata a casa l'ospite la stava aspettando. 
Nuda. Seduta davanti alla porta. L' ha guardata con la solita inespressività. Ha detto solo che era inutile opporsi.
Francesca ha alzato lo sguardo. Ha capito che non le credevo e che ero veramente spaventato per lo stato in cui era. Non riuscivo a pensare. 
Ha detto che era comprensibile che non le credessi. Però anche a me poteva capitare che un sosia si presentasse nudo a casa mia e mi parlasse di reintegrazione degli ecosistemi ed eutanasia della specie uomo. 
Ha cominciato a ridere, a ridere, a ridere. Una risata tragica. Nervosa.
Ho suggerito di accompagnarla a casa. Era inutile, mi ha spiegato. Non l'avrei comunque potuta vedere. In mia presenza sarebbe scomparsa, come era scomparsa in presenza della polizia, dello psichiatra che le aveva consigliato di iniziare una seria terapia, di Teresa, della sorella, di chiunque 
entrasse in casa sua. Tranne che di lei naturalmente. 
L'ospite da qualche giorno cercava di portare ogni argomento di discussione sulla legittimità del Progetto che Francesca, secondo lei, non riusciva a comprendere appieno, in ogni sua prospettiva.
L'ottica del Progetto era la difesa delle forme di vita e l'uso della conoscenza per le molteplicità delle specie. Sei miliardi di umani potevano essere motivo di scompensi globali. 
A questa motivazione aggiungeva il bisogno di una svolta generazionale, considerata l'indole umana, la profondità del suo squilibrio, le conseguenze che genera. 
Tra un secolo l'ultimo uomo sarà morto, per sempre. Ha sentenziato con enfasi. Mi ha domandato se m'importava di cosa potesse accadere fra cento anni. 
Le ho risposto che non me ne importava nulla. 
A lei sì che importava invece. Questa era una delle ragioni per cui Francesca conosceva il male.
Ha asciugato le lacrime. Voleva che la scusassi. Non aveva alcun diritto di coinvolgermi nei suoi problemi, ma ripeteva che comunque era tutto vero ciò che mi aveva raccontato. Accennando un sorriso stentato voleva rassicurarmi. Avrebbe comunque trovato un'alternativa alla disperazione.
Mi ha salutato ed è uscita in fretta. 
Ero stordito. Un'intricata confusione mi annebbiava. Domande su riflessioni. Immagini. La logica del racconto di Francesca. La sua voce al telefono che non era la voce di lei che conoscevo. Se non era lei come sapeva di me?
Sono andato a casa di Francesca. Avrei spiato dalle finestre senza esser visto. E così ho agito. 
Sono passato dal retro. Ho dovuto scavalcare il cancelletto. Dal giardino sono arrivato alla finestra della cucina. Potevo vedere il profilo di una figura seduta davanti al televisore. Poi la porta d'ingresso si è aperta. Francesca è entrata e mi ha visto. Il televisore si è spento e il profilo è scomparso. 
Ho sentito Francesca chiamarmi mentre mi allontanavo dalla finestra. Non le ho risposto. Non mi sono fermato. Volevo tornare a casa. 
Sono tornato a casa. Seduto davanti alla porta c'era qualcuno. Mi stava aspettando. L' ho capito perché appena mi ha visto s'è alzato.
Era un uomo nudo. 

Pietro Moretti

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Copyright © 2008 [Maremagnum]. Tutti i diritti riservati.