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Percy Bysshe Shelley

(1792-1822)

 

Poeta inglese. Di antica famiglia nobile, studiò a Oxford, donde fu espulso in seguito alla pubblicazione dell'opuscolo La necessità dell'ateismo (1811), ispirato al pensiero del filosofo inglese W. Godwin (ma forse non suo). Abbandonò la moglie dopo tre anni per Mary, figlia di W. Godwin, che sposò nel '16. Due anni dopo, messi al bando dalla società per le loro idee e i loro costumi, Shelley e Mary lasciarono l'Inghilterra e si trasferirono in Italia, soggiornando specie a Venezia dove il poeta scrisse i drammi I cenci ('19) e Prometeo liberato ('20), il poemetto Epipsychidon ('21), l'elegia Adonais ('21), e alcune poesie, fra cui la celebre Ode a un'allodola, rivelandosi poeta fra i massimi della lirica romantica. Nell'aprile del '22 si stabilì a Villa Magni, sul golfo di La Spezia. Morì naufrago in una tempesta, l'8 luglio '22. Il suo corpo, restituito dal mare, fu cremato e le ceneri vennero sepolte nel cimitero protestante di Roma.



A UN'ALLODOLA

I
Salve, spirito lieto!
Mai tu fosti un uccello.
Dal cielo od assai prossima
Al cielo, il cuore pieno
Tu effondi in melodie d'arte improvvisa.

II
Ogni attimo più in alto
Tu sgorghi dalla terra
Come nuvola ardente.
Batti il profondo azzurro
Con l'ala e canti e t'alzi e canti.

III
Nei bagliori dorati
Dei tramonti là dove
Le nubi sopra t'ardono
Apri le vele, corri
Con gioia che prorompe senza peso.

IV
Sfuma attorno al tuo volo
La pallida ombra accesa.
Stella resti invisibile
Dei cieli a giorno pieno
Anche se ascolto il tuo trillo felice.

V
Acuto come i raggi
Della sfera d'argento
Il cui bagliore estingue
Un bianco d'alba. E a stento
La scorgiamo, pur consci chi è là in cielo.

VI
Tutta la terra, l'aria
Suona della tua voce
Come da solitaria
Nube, se a notte fonda
La luna intorno raggia e copre il cielo.

VII
Quel che sei non sappiamo.
Cosa è simile a te?
Non versa arcobaleno
Gocce tanto lucenti
Come piovon da te le melodie.

VIII
Come un poeta occulto
Nel pensiero fulgente
Canti liberamente
In accordo col mondo
Fra timori e speranze prima ignoti;

IX
Come fanciulla nobile
Che in una torre plachi
Angosce di passione
In segreto con musiche
Care d'amore ch'empiono il suo nido;

X
Come lucciola d'oro
In rugiada di valle
Nascosta all'occhio sparge
Il suo fulgore d'aria
Fra gli steli e i fiori che la celano;

XI
Come rosa violata
Nel suo verde riparo
Di foglie dal tepore
Del vento, ma il profumo
Troppo soave spegne il greve assalto,

XII
Scrosciare d'uragani
Scintillare di steli
Fiori vivificanti
Da piogge: quanto è allegro
Fresco, chiaro tu superi cantando.

XIII
Spirito o uccello, insegnemi
Quali accessi pensieri
Siano i tuoi. Non ho udito
Inno d'ebbrezza o amore
Celestialmente come il tuo rapito.

XIV
Nuziale o trionfale
Coro, a quel tuo d'accanto
Parrebbe assurdo vanto.
Un oggetto ove un vizio
Udiremmo nascosto noi, sicuri.

XV
Perché s'aprì la fonte
Di così allegro canto?
A prati, onde, montagne?
A piani o cieli o amore
D'una specie? A ignoranza del dolore?

XVI
Con la tua chiara, acuta
Gioia cessa il torpore.
Ombra non sai di noia.
Ami, e del desiderio
Non conosci l'amara sazietà.

XVII
La morte, in sonno o desta
Tu conosci più in fondo
Di quanto noi sogniamo:
Sennò come potrebbero
Uscirti tanto cristalline note?

XVIII
Guardando indietro, avanti
Ciò che non è ci affanna.
Le risa più sincere
Nescondono un tormento.
Il miglior canto è del maggior dolore.

XIX
Non so, seppur potessimo
Schernire odii, paura,
Orgoglio; se non fossimo
Nati a versare lacrime,
Come pareggieremmo la tua gioia.

XX
Meglio d'ogni misura
Di suoni deleziosi
O tesoro di pagina,
Gioverebbe il tuo trillo
Al poeta, o del suolo spregiatrice!

XXI
La metà dunque insegnami
Della gioia che sai.
Un'armonica ebbrezza
M'invaderebbe, e il mondo
M'ascolterebbe come ora t'ascolto.

Livorno, 1820.


DA "ODE A NAPOLI"

Nella città dissotterrata udivo
Il passo lieve, di fantasma, delle
Foglie autunnali erranti per la vie,
E dentro quelle sale scoperchiate
Fremere a tratti l'assonnata voce
Della montagna: un suono oracolare
Che scosse la mia anima in ascolto
Con il sangue sospeso. Era la terra
Che parlava del suo cuore profondo.
La sentii senza udirla. Per le bianche
Colonne ardeva per il vivido fuoco
Il mare ondoso che sostiene l'isola:
Un pianoro di luce tre due cieli
Azzurri! Molti splendidi sepolcri
Mi raggiavano intorno, belli d'una
Pura bellezza che il Tempo-come
Si compiacesse a salvare la Morte-
Non aveva distrutta. Ed era limpida
Ogni vivente linea di quei volti
Come alla mente di chi li scolpì.
Le corone di mirto, edera, pino
Immobili nel marmo come foglie
D'inverno modellate nella neve
Non crescevano all'aria cristallina
Che in silenzio pesava sulla loro
Vita, come una forza sovrumana
Ogni cosa cullando, sulla mia.

1820.


LA NUVOLA

I
Reco ai fiori assetati fresche piogge da mari e fiumi;
Ombra leggera sulle addormentate foglie, nel sogno.
Dalle mie ali scorrono rugiade che ad uno ad uno
Destano i dolci bocci, dalla madre cullati al sonno
Non appena ella danzi attorno al sole. Uso la sferza
Della grandine e, sotto, verdi piani candidi rendo
E in nuova pioggia la sciolgo, e tuonando trascino e rido.

II
Vaglio la neve sulle cime e gridano pini atterriti.
La notte, quello è il mio cuscino bianco se dormo in braccio
Al nembo. Sulla torre della mia casa celeste
Sta il lampo che mi guida. Incatenato entro una fonda
Caverna è il tuono e si contorce e geme sopra la terra,
E l'oceano con moto lieve il mio pilota guida
Attratto dall'amore di quei Genii che negli abissi
Del mare viola vivono. Sui colli rocce e torrenti,
Su laghi e su pianure e sotto cime di monti e fiumi
Ove sogna, lo Spirito ch'egli ama rimane. Ed io
Per quel tempo mi beo dentro un azzurro riso di cielo
Mentr'egli si dissolve dentro uno scroscio di piogge.

III
L'alba di sangue ad occhi di metèora e piume in fiamma
Balza sopra il mio cumulo che naviga se brilla Venere
Ormai svanendo: così sulla cima che un terremoto
Agiti e scuota, un'aquila discende e posa un attimo
Ferma nel lume delle ali d'oro. E se un tramonto
Del mare aperto respira la sua ansia infuocata
Di quiete e d'amplesso, e della sera il manto rosso
Cade dal fondo del cielo, io m'arresto con ali chiuse
Sopra il mio nido d'aria, silenziosa colomba in cova.

IV
Quella vergine chiusa entro una sfera di bianca fiamma
Che chiaman Luna gli uomini, splendendo liscia mi tocca
Come lana leggera stesa da soffi di brezza
Di notte piena. E dovunque il passo degli invisibili
Piedi, che solo gli Angeli riescono ad ascoltare,
Alla mia tenda abbia gualcito il fragile traliccio a tetto
Occhieggian dietro e ridono le stelle. Rido vedendole
Quando fuggono a vortice con volo di api d'oro
A allargo quello strappo alla mia tenda fatta di vento
Finchè i limpidi fiumi e i laghi e i mari, lembi di cielo
Su me caduti, grandi strade appaiono di luna e stelle.

V
Chiudo il trono del Sole in una zona di fuoco e quello
Della Luna con il grido di perle. Spenti vulcani
Si scuotono ed ondeggiano le stelle se il mio vessillo
I turbini del vento abbiano steso da un promontorio
All'altro, da un ponte alto sul mare, fatto torrente
Chiuso, al sole mi fermo e mi sospendo come da un tetto
I cui piloni siano le montagne. Trapasso un arco
Di trionfo, avanzando tempestosa con fuoco e neve
Mentre le forze aeree incatenate son vareopinto
Arcobaleno dove intreccia tinte l'ombre di fuoco,
Ma leggere. Di sotto a me la Terra fresca sorride.

VI
Della Terra e dell'Acqua figlia, sono del cielo alunna,
E attraverso l'oceano e le spiagge muto immortale.
Se tutto il cielo, a pioggia ormai caduta, limpido s'apra,
Alzando i venti e il sole coi convessi raggi una volta
Azzurra d'aria, silenziosamente a quel mio vuoto
Sepolcro rido e, ancora dagli abissi di pioggia uscendo
Come infante dal grembo o dalla tomba spettro, l'anniento.

Pisa, luglio 1820.


SERENATA INDIANA

Sorgo dal tuo sogno soave
Dal primo sogno della notte folta
Mentre il vento respira leggero
Ed ogni stella palpitando ascolta.

Sorgo dal tuo sogno soave
E uno Spirito mi ha recato
Chi mai, chi mai saprà come?
Sotto la tua finestra, bene amato.

Nel tacito, oscuro cammino
Anche la brezza già muore.
Come pensiero nel sogno
Del ciàmpak esala l'odore.

Si spegne sul piccolo petto
Dall'usignolo il lamento
Come su te io cadrei
Per come amata ti sento.

Sollevami dall'erba dove muoio.
Irrora di pioggia mai stanca
Di baci gli occhi sfiniti,
La bocca immobile, bianca.

Io sussulti d'anèliti profondi.
Ho pallida, fredda la faccia.
Oh stringi il mio cuore sul tuo
Fino a che taccia.

Per canto, 1821.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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